Intervento di Federico Preti – Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica e Docente di Idraulica presso l’Università di Firenze:
“Ci risiamo: In Toscana continuano ad esondare i corsi d’acqua. Tagliare troppo e male la vegetazione ripariale può addirittura aumentare il rischio a valle. Le frane sono più frequenti nei versanti non più gestiti negli ultimi decenni, rispetto a quelli ancora mantenuti o boscati. La strada da percorrere è quella di rinaturalizzare il territorio quanto prima (secondo la Restoration law e compensando l’abbandono e la mancanza di manutenzione delle Aree Interne) e pianificare interventi strutturali e non strutturali (anche delocalizzazioni di edifici) a medio e lungo termine. Anche con riferimento all’alluvione in corso e a quelle del novembre 2023 in Toscana e alla precedente in Emilia Romagna, è stato di recente confermato che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti di versante (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50%”.
“Piove in maniera pericolosa più frequentemente. E ciò avviene su un territorio vulnerabile per l’aumento di consumo di suolo nei fondovalle e l’abbandono dell’entroterra. I corsi d’acqua arginati non reggono e si continua a impermeabilizzare il suolo e esponendo beni e vite umane a subire danni.
Tagliare troppo e male la vegetazione ripariale può addirittura aumentare il rischio a valle. Le frane sono più frequenti nei versanti non più gestiti negli ultimi decenni, rispetto a quelli ancora mantenuti o boscati. Oggi dobbiamo mitigare l’aumento di rischio idrogeologico, compensando gli effetti del consumo di suolo e del cambio climatico con la prevenzione tramite soluzioni basate sulla natura, ovvero realizzando interventi innovativi di Ingegneria Naturalistica con investimenti 10 volte inferiori a quelli per la ricostruzione in emergenza post eventi catastrofici e dando opportunità di lavoro a tecnici, professionisti e giovani disoccupati. L’Ingegneria Naturalistica sviluppata in Italia da oltre 30 anni ha le sue radici nelle Sistemazioni Idraulico-Forestali, patrimonio culturale, tecnico e scientifico italiano (nate a Vallombrosa ben oltre un secolo fa). Con tali tecniche consolidate si attuava la difesa del suolo dei bacini collinari e montani, prioritaria per l’economia del Paese. E oggi anche i massimi esperti di Frane e di Desertificazione riconoscono il ruolo fondamentale di tali soluzioni”. Lo ha dichiarato Federico Preti, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica e docente di Idraulica dell’Università di Firenze.
Rinaturalizzare il territorio!
“La strada oggi è quella di rinaturalizzare il territorio quanto prima (secondo la Restoration law e compensando l’abbandono e la mancanza di manutenzione delle Aree Interne) e pianificare interventi strutturali e non strutturali (anche delocalizzazioni di edifici) a medio e lungo termine (recuperando risorse economiche da altri settori non così prioritari rispetto al disastro “idrogeocementizio”ovvero “idrogeo-Illogico”). Un esempio concreto: Interventi diffusi a monte.
Il cambiamento di uso del suolo e la minore manutenzione dei nostri bacini idrografici, oltre agli effetti del cambio climatico, hanno portato oggi ad un rischio notevolmente maggiore. Anche con riferimento all’alluvione in corso e a quelle del novembre 2023 in Toscana e alla precedente in Emilia Romagna, è stato di recente confermato – ha continuato Preti – che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti di versante (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50% (quindi gli eventi critici ora hanno una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno minore). Se poi si considera il consumo di suolo che ha enormemente aumentato la vulnerabilità e l’esposizione di beni e persone al danno, ecco che abbiamo un rischio che è cresciuto in maniera ormai insostenibile.
Da recenti sudi dell’Università di Firenze e Aipin su bacini idrografici colpiti da alluvioni, si è quantificato che il rischio idrogeologico è aumentato di decine di volte a seguito di trasformazioni del territorio ed effetti del cambio climatico e questo puà essere compensato da interventi di IN. Si consideri anche la spesa per interventi di prevenzione può essere inferiore di 10 volte rispetto a quella per interventi post-catastrofi. Intervendo “a monte” possiamo avere ulteriori vantaggi (ad es. trattenere e rallentare l’acqua garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento delle falde) ”.
Erosione, frane, esondazioni creano danni se si vive in zone a rischio
“In realtà i fenomeni di dissesto (erosione, frane, esondazioni, etc.) sono naturali, ma creano danni solo se si costruisce e vive in zone a rischio (se possibile, la soluzione migliore sarebbe non-strutturale: divieto di costruire o delocalizzazione).
Da sempre, con l’Ingegneria Naturalistica, si privilegia l’opzione zero (non-intervento se non necessario, in caso di processi naturali) oppure la rinaturalizzazione/riqualificazione prima degli interventi strutturali che, qualora inevitabili si realizzeranno con opere “verdi” rispetto a quelle convenzionali “grigie”, tenuto conto dei limiti tecnici e della deontologia professionale. Il tutto rispettando, naturalmente, il principio Do No Significant Harm (DNSH) per cui gli interventi non arrechino alcun danno significativo all’ambiente. Ormai le strategie e programmi europei e nazionali, anche sostenuti dal Recovery Plan/PNRR, vanno in questa direzione. Ad esempio, con l’emanazione del DPCM 27/09/2021 sono stati definiti criteri e metodi per identificare le priorità di finanziamento degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico in Italia: tra gli interventi proposti – ha concluso Preti – si darà priorità ai cosiddetti interventi “integrati”, nei quali si associa la protezione di ecosistemi e biodiversità alla mitigazione del rischio idrogeologico
L’Ingegneria Naturalistica ha, pertanto, certamente un ruolo per la mitigazione del rischio idrogeologico e la riqualificazione del paesaggio, con costi più sostenibili e portando occupazione, compensando anche la mancanza di manutenzione del territorio e aumentandone la resilienza agli effetti del cambio climatico e del consumo di suolo. Le casse di espansione attuali hanno volumi (decine di metri cubi a ettaro) e laminano i picchi di piena di circa il 10% corrispondenti alla laminazione diffusa che avevamo prima a monte.
Oggi ci servirebbero 3 miliardi all’anno da spendere per mitigare il rischio in Italia, a fronte di circa il triplo speso ogni anno per ricostruire dopo le catastrofi”.
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