Secondo il giudice, tutti i medici che hanno prestato i primi soccorsi a Piermario Morosini, erano tenuti all’uso del defibrillatore”. E questa in sintesi la motivazione della sentenza di circa 40 pagine emessa dal tribunale di Pescara che condanna: Vito Molfese medico del 118 ad un anno, Manlio Porcellini medico del Livorno calcio (8 mesi), Ernesto Sabatini medico del Pescara calcio (8 mesi), per la morte del calciatore Piermario Morosini, avvenuta il 14 aprile 2012.
Il giocatore del Livorno si accasciò a terra al 29′ del primo tempo sul terreno di gioco dello stadio Adriatico di Pescara. Il giudice Laura D’Arcangelo, ha accolto in pieno le conclusioni dei periti, secondo le quali “Morosini è stato colpito da fibrillazione ventricolare indotta dalla cardiopatia aritmogena da cui era affetto e dallo sforzo fisico intenso”. È stato escluso che Morosini sia stato colto da una possibile asistolia, sulla quale non sarebbe stato possibile intervenire efficacemente con il defibrillatore. Una volta stabilito che il defibrillatore era presente sul campo e che andava utilizzato tempestivamente, il giudice si è dunque occupato di individuare le responsabilità di chi avrebbe dovuto utilizzarlo. “Poiché il Dae è uno strumento di facilissimo utilizzo – rimarca D’Arcangelo – è del tutto evidente come il suo utilizzo debba essere parte del necessario bagaglio professionale di qualsiasi medico, anche non specialista”.
Il giudice ritiene che gli imputati “non potevano non avere visto che il Silvestre aveva prontamente predisposto il Dae accanto alla testa dell’infortunato: Porcellini, Sabatini e Molfese, intervenuti in soccorso di Morosini nei primi minuti dopo il malore, avrebbero dovuto, una volta effettuate le manovre prodromiche, procedere alla defibrillazione”.
Il giudice delinea inoltre una graduazione di responsabilità sotto il profilo della colpa: “considerate le competenze professionali dei sanitari intervenuti nelle operazioni di soccorso, è evidente che il referente principale fosse la persona più esperta nella specifica attività in corso (Molfese), il quale avrebbe dunque dovuto assumere il ruolo di leader.
D’Arcangelo vagliando perizie e pareri di esperti in materia affronta anche l’aspetto delle probabilità di sopravvivenza nel caso si fosse utilizzato il defibrillatore: “Tutti gli elementi consentono di ritenere che le probabilità di ripresa del ritmo cardiaco e quindi di scongiurare la morte, sarebbero quantificabili intorno al 60/70 per cento, qualore fosse stato utilizzato il defibrillatore nei primi tre minuti dal collasso”. Una valutazione espressa soprattutto alla luce del fatto che “Morosini era un soggetto giovane (26 anni), in condizioni fisiche che gli avevano consentito di esercitare per anni attività sportiva a livello professionale, e la cardiopatia aritmogena dalla quale era affetto, del tutto asintomatica fino all’insorgenza della fibrillazione ventricolare, interessava un’area del muscolo cardiaco molto limitata”.
Lascia un commento