Un centralinista dell’Autorità Portuale nell’estate del 1999 riuscì ad effettuare chiamate hard mentre si trovava sul posto di lavoro per ben 65 milini di lire tra giugno e settembre, così hanno accertato i conteggi effettuati da Telecom.
Ora distanza di diciassette anni dalle folli spese a carico dell’Authority, la Corte dei Conti ha condannato Giuseppe Rimpatriato, 52 anni, a risarcire l’ente pubblico «per il danno diretto e il danno d’immagine» per un cifra complessiva di 63.443,17 euro.
Siamo nel 1999 e a far scattare le indagini una denuncia penale alla Polmare nella quale veniva spiegato come «negli ultimi mesi le spese per le bollette telefoniche fossero visibilmente aumentate». Nella stessa denuncia veniva anche precisato come l’Authority disponesse, oltre che della sede storica, anche di una sede distaccata nella quale lavorava un solo centralinista.
È dagli accertamenti effettuati attraverso i tabulati telefonici che gli investigatori hanno scoperto come l’enorme lievitazione dei costi dipendesse «da numerose telefonate a linee 166 (hot e cartomanti), prevalentemente effettuate dalla postazione del centralinista ma anche da altre postazioni del medesimo ufficio, a cui il dipendente aveva comunque accesso». Inoltre dagli accertamenti è emerso che «tutte le telefonate erano state fatte sempre in giorni e orari in cui il centralinista era in servizio e mai quando, invece, era assente». Si parla di un totale di 155 milioni di lire, di cui 63 milioni spesi per chiamate partite dall’interno dell’indagato.
Il 17 giugno 2009 il dipendente è stato condannato in primo grado a due anni otto mesi di reclusione nonché al risarcimento dei danni patrimoniali. Due anni dopo ecco la conferma della sentenza in corte d’Appello, poi divenuto irrevocabile.
Lascia un commento