Il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, sintetizza così gli effetti che il percorso di privatizzazione di Asa ha avuto sulla città di Livorno e sul portafogli dei cittadini.
“Avevamo promesso che avremmo aperto i cassetti per denunciare le magagne fatte dai nostri predecessori in città – attacca il sindaco -. Non abbiamo avuto bisogno di scovare documenti segreti: è tutto lì, scritto nero su bianco nei verbali e nei bilanci delle due aziende, Asa e la Liri, nata a luglio 2003 per prendere il controllo della rete del gas e trasformata in bad company, caricandola di debiti da lasciare in eredità ai livornesi. Il caso Asa Liri è una Aamps due. Con AAMPS abbiamo fatto un piccolo miracolo, con ASA invece siamo arrivati troppo tardi per riprendere in mano la situazione in tempo”.
ASA, STORIA DI UN INDEBITAMENTO
Nel 2003 Asa è un’azienda interamente pubblica a resio rischio default, con oltre 50 milioni di euro di debiti, di cui 48 milioni nei confronti dei fornitori, delle banche e nei confronti del Comune stesso.
“A creare questo debito – sottolinea Nogarin – è stata sopratutto l’amministrazione comunale che tra il 95 e il 97 ha scaricato su Asa l’organizzazione di alcuni servizi, dall’illuminazione pubblica al pronto intervento sulle strade, senza vigilare sulla gestione. Per svolgere questi servizi, Asa ha creato una galassia di 20 società controllate, con conseguente moltiplicazione dei costi, degli incarichi dirigenziali e delle spese per il personale. Tutti profili pagati, mediamente, il 30% in più di quanto vengono pagati i pari ruolo in Comune”.
IL FINANZIAMENTO PONTE E LA NASCITA DELLA LIRI
Per ripagare i debiti, il 23 marzo 2003 Asa sottoscrive un finanziamento ponte da 49.750.000 euro con Dexia Crediop e si impegna a coprirlo attraverso l’emissione di obbligazioni, che non vengono però mai emesse.
Il 25 luglio, il Comune crea la Liri (Livorno Reti e Impianti spa), in cui conferisce il patrimonio di Asa, le reti sia del gas che del servizio idrico integrato, gli impianti, i macchinari e in cui finisce anche il prestito ponte contratto con Dexia e Banca Opi (Intesa). Il 30 dicembre, un giorno prima della scadenza, Liri rimborsa il finanziamento accendendone un altro da 45,5 milioni di euro rimborsabile in 25 anni.
IL DERIVATO TOSSICO E IL RICORSO AL TRIBUNALE
Nel 2013 Banca Intesa comunica alla Liri che all’interno del finanziamento contratto nel 2003, è presente un derivato tossico capace di generare interessi pesanti sul debito: nell’ultimo semestre il tasso nominale annuo è arrivato al 5,85%.
“In 14 anni – evidenzia Nogarin – abbiamo saldato 14 milioni di euro più 28 milioni di interessi. Da qui al 2023 dovremo saldare altri 31 milioni di euro più oltre 10 milioni di interessi. Il tutto con i soldi dei cittadini. Appena abbiamo messo piede in Comune, abbiamo preteso che la situazione venisse affrontata diversamente”.
“La società ha intrapreso, con estrema decisione, un percorso finalizzato all’ottenimento di migliori condizioni – spiega il liquidatore della Liri, Maurizio Paponi – ma vista la posizione di chiusura degli istituti di credito ci siamo rivolti al tribunale di Roma chiedendo l’annullamento del derivato inserito nel contratto di mutuo, l’annullamento del contratto di opzione e della relativa commissione di estinzione anticipata. E abbiamo chiesto la condanna al risarcimento del danno subito”.
LA PRIVATIZZAZIONE
Il primo luglio del 2004 la giunta comunale approva il contratto di investimento per la cessione del 40% delle quote di Asa Spa alla cordata vincitrice del bando AMGA spa, che poi diventerà Iren, per un totale di 9,2 milioni di euro.
Il socio privato si trova per le mani un’azienda snella, senza più un patrimonio immobiliare da gestire e soprattutto senza debiti.
Nel frattempo il Comune investe 5 milioni arrivati da Asa, per ricapitalizzare l’Aamps, e decide di destinare il resto all’acquisto del 40% delle quote pubbliche, finite in mano agli altri Comuni della zona. Ma questi ultimi si rifiutano, visto che il Comune di Livorno valuta le loro azioni 8,1 euro, quasi 2 euro in meno rispetto a quanto aveva venduto.
“Questa vicenda – conclude il sindaco – è uguale e precedente a quella di Aamps: negli anni passati le amministrazioni, pur di mantenere i conti del Comune in regola, non hanno esitato a utilizzare le municipalizzate come bancomat, spolpandole, riducendole sul lastrico, utilizzandole come strumenti di consenso e infine vendendole, ripulite, al miglior offerente. Noi invece stiamo provando a salvarle: con Aamps ci siamo riusciti. Ora stiamo seguendo un’altra strada per provare a limitare i danni fatti con Asa”.
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