di Sandro Lulli. E così oggi – addì 4 gennaio – O Sciu Aldo, classe 1940, soffia su 78 candeline. Diciannove delle quali spente da presidente del Livorno, oltre alle quasi tredici da numero uno del Genoa. Totale: da trentadue anni viaggia per le impervie strade del calcio. E da 60 su quelle delle ancor più impervie dell’imprenditoria portuale, perché iniziò a mettersi in proprio che aveva 18 anni quando suo padre Roberto, nostromo, era appena morto a 48 anni nel naufragio della nave Bonitos al largo della Virginia, insieme ad altri 22 marinai.
CORAGGIO. L’armatore Rovani, a sua madre Carmela, come indennizzo inviò un assegno misero: 4800 lire. Aldo, che aveva altri tre fratelli, prese quel pezzo di carta e lo riportò, sdegnato, al datore senza cuore e coscienza. E già da quel gesto Aldo Spinelli mostrò il suo carattere: forte, orgoglioso, coraggioso. “Anche un po’ folle – ebbe a dire tempo fa – perché per mettermi in proprio firmai cambiali per 800 mila lire al mese… Ma andò bene”.
IMPERO. Gli andò bene quella volta che iniziò a costruire un vero e proprio impero da oltre 200 milioni di euro di fatturato (movimenta oltre 1000 navi l’anno, possiede 600 mezzi per la movimentazione dei container, e oltre 1000 camion) e gli è andata bene anche nel calcio: bilanci sempre perfetti, mai un debito, mai una indagine fiscale. Alti e bassi, promozioni e retrocessioni, ma società solide. Prima il Genoa, poi il Livorno.
PASSIONE. “Come faccio? – mi rispose una volta – Ogni tre mesi ripiano i debiti. Se non avessi avuto questa passione – concluse – adesso avrei non uno ma tre Terminal e altri 1000 camion, però mi sono anche tolto tante belle soddisfazioni…”. Sì perché s’è fatto anche un nome tra trasmissioni sportive su canali Rai e Mediaset, titoli e titoloni sui massimi quotidiani e poi interviste e foto, elogi e critiche. Un personaggio, ecco cos’è O Sciu Aldo, l’unico della vecchia guardia ad aver retto alle pressioni e all’usura dello stress di un calcio imperscrutabile e di una tifoseria che non fa certo sconti.
A PIOMBINO. E così eccolo a Livorno. Primo marzo 1999, eravamo per le scale della Compagnia Portuali di Piombino verso le 16 e Aldo Spinelli aveva appena firmato l’acquisto della società amaranto per 5 miliardi e 800 milioni da Claudio Achilli e Angelo Deodati , uomo rude, imprenditore nel settore dello smaltimento dei rifiuti, poi finito in carcere, chiamato da Achilli quando stava affondando. Erano presenti anche Italo e Roberto Piccini al vertice della Compagnia, c’era pure il sindaco di Livorno Gianfranco Lamberti: tutti registi dello sbarco di Spinelli all’ombra di Quattro Mori.
PEPE E SALE. Aldo Spinelli ci venne incontro scendendo le scale. “Sciu Aldo hai messo i capelli pepe e sale…” commentò il mio collega Gianni Massone, genovese e genoano di fede, poi trasferitosi a Livorno. Spinelli lo guardò e mi sembrò di leggere nella sua espressione una specie di “Ma dove sono capitato…”. Ma invece nacque un bel feeling con noi del Tirreno: una collaborazione proficua che portò lontano e dei successi degli amaranto ne beneficiò pure la nostra amata e storica testata ora entrata nel 141esimo anno di vita.
PROTTI E LUCKY. Dunque iniziò quel giorno l’era Spinelli, con il neopresidente che più tardi, in notturna, assistè alla partita. Appena sbucò sulla tribuna Vip ci fu una ovazione. Ma la partita fu deludente, il Livorno contro il Lumezzane non andò oltre l’1-1. E far salvare gli amaranto in quella stagione fu davvero un’impresa.
Ma avevamo voltato pagina. L’anno dopo ritornò Igor Protti. E con lui tanti giocatori veri. Tornammo in serie B dopo 30 anni (campionato 2001-2002, tecnico Osvaldo Jaconi), poi in A dopo 55 anni anche con l’ingaggio di Cristiano Lucarelli (campionato 2003-2004, tecnico Walter Mazzarri).
ALDO MEGLIO DI ROMEO. Premetto: ho sempre ammirato, e ammiro, Romeo Anconetani come uomo di calcio. Autore del miracolo Pisa negli anni in cui noi del Livorno ci aggiravamo nel calcio di provincia tra giocatori-bidoni, debiti e fallimenti. Ebbene, in maniera sintetica ho fatto una comparazione tra la gestione di Anconetani e quella di Spinelli. Romeo riuscì a far promuovere i nerazzurri in A per quattro volte (1982, 85, 87, 90) stando per cinque anni complessivamente nel massimo campionato in sedici anni di regno (1978-1994). Un regno che franò con il fallimento della società dopo la retrocessione in C al termine della stagione 1993-94 dopo lo spareggio con l’Acireale guidato da Beppe Papadopulo, con un buco nel bilancio di oltre 27 miliardi e 460 milioni: Romeo si dimise, società radiata che ripartì dall’Eccellenza. E che poi non si è più ripresa ed anche attualmente fatica dal punto di vista economico-finanziario.
CALCIO PER HOBBY. Spinelli ha portato il Livorno ad essere promosso in A tre volte (2004, 2009, 2013), tenendo la squadra nel massimo campionato sei stagioni (una più di Romeo), restando nel firmamento per ben quattro stagioni consecutive (dal 2004-2008) con la partecipazione alla Coppa Uefa sino ai Sedicesimi. Nel marzo prossimo Sciu Aldo festeggerà il 19esimo anno di presidenza (Romeo si fermò a sedici). Spinelli non fallirà mai. C’è di più: Romeo Anconetani faceva del calcio la propria professione. Aldo Spinelli ha fatto calcio con la mano sinistra perché alle 6 del mattino da sessant’anni è già sui moli del porto di Genova a lavorare.
Allora, ci si chiederà, perché Romeo Anconetani, triestino di nascita, è stato amato così tanto da intitolargli persino lo stadio Arena nonostante abbia lasciato il Pisa in rovina, mentre parte della tifoseria del Livorno non vorrebbe neppure che Aldo Spinelli mettesse piede in città?
Uno fece il trascinatore, amava dire che lui era il Pisa, faceva il padre padrone, esonerava allenatori in quantità industriale (Aldo Agroppi, richiamato disse: “No, non torno, voglio vivere”) e spargeva scaramanticamente chili di sale sul campo e anche altre cose, tipo aver troncato la carriera a qualcuno.
MAI RICOMPENSATO. Aldo Spinelli al massimo si è concesso l’impermeabile giallo (giallo è il suo colore preferito, quello che gli porta bene, la nave su cui morì suo padre aveva il celeste come compagnia di bandiera, lui non vuole neppure vederlo) non ha mai fatto il capopopolo, si è distaccato dalla vita cittadina quando ha capito che le Amministrazioni non lo avevano agevolato nella misura in cui si augurava (una volta mi confidò un piano per 300 nuove assunzioni in porto che cadde nel vuoto e potete giurarci che era valido) avendo dato anche a Livorno città una visibilità e un prestigio inusitati. Spinelli non ha troncato la carriera ad alcuno, ha rispettato calciatori e dipendenti (a uno di questi andato in pensione ha raddoppiato persino la liquidazione, ma nessuno lo sa), ciò che ha promesso ha mantenuto. E’ un uomo d’onore. Con un carattere difficile, è vero, però lui ci mette la faccia e i suoi soldi per una città che non è la sua e che mai lo ha accolto e spesso è sembrata davvero poco riconoscente.
IL PIU’ GRANDE. Di Aldo Spinelli resterà il curriculum nell’albo d’oro dei presidenti amaranto. E i nostri nipoti quando lo scorreranno senza pregiudizi esclameranno: “Certo questo Spinelli è stato davvero un grande”. Auguriamoci, tra qualche anno, di trovarne un altro come lui. E ve lo dice uno che si ricorda dei quattro fallimenti e una radiazione; delle retrocessioni e dei ds lestofanti. E dei bidoni che arrivavano all’Ardenza come dei campioni. Caro Sciu Aldo, buon compleanno!
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