È stata diffusa sugli organi di stampa una notizia relativa all’assunzione da parte del Comune di Livorno di 23 persone a tempo determinato in cui si leggono le dichiarazioni dell’assessore Gianfranco Simoncini che afferma “si prosegue sulla strada di utilizzare i lavori di pubblica utilità per dare opportunità di lavoro a una parte di coloro che erano espulsi dai processi produttivi, contribuendo alla risoluzione di bisogni della città.
La professoressa Michela Molitierno di BuongiornoLivorno coglie l’occasione per informare che la lista civica cittadina insieme all’assessore Raspanti hanno attivato gli uffici comunali per predisporre ulteriori progetti di pubblica utilità che serviranno per garantire il rispetto della norma prevista dalla legge nazionale sul reddito di cittadinanza la quale prevede che coloro che, in condizione lavorativa, ricevono il reddito sono tenuti a garantire sino a otto ore settimanali di attività socialmente utili.
Stando, però, alla definizione di “lavoro di pubblica utilità” che consiste “nell’attività non retribuita a favore della collettività” (DM 26 marzo 2001) ci si chiede come si possa parlare di “assunzioni” e come si possa associare il lavoro di pubblica utilità (LPU) al reddito di cittadinanza.
“Per legge il LPU – sostiene Molitierno – è una sanzione penale sostitutiva e fino a prova contraria essere disoccupati non è una condanna.
La tipologia di attività, inoltre, non è esattamente quella richiesta dal DM 26 marzo 2001. Per legge, gli archivi – fin dalla nascita – rientrano nella categoria di bene culturale (Dlgs n. 42/2004 art. 2 co. 2) e, sempre per legge, “gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi […] sono affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale” (Dlgs n. 42/2004 art. 9-bis).
Ci ritroviamo nuovamente a chiedere alle istituzioni – come già abbiamo già fatto esattamente nel settembre 2016 – come sia possibile che si attivino progetti che non tengano conto della Legge italiana e ci chiediamo ancora come sia possibile che un’istituzione utilizzi termini inadeguati e concetti inappropriati.
Il lavoro dell’operatore culturale prevede formazione continua e una professionalità altissima, soprattutto se opera in ambito pubblico, perché è colui che si prende cura della conoscenza del nostro futuro. La semplificazione amministrativa è ciò che ci permetterà di facilitare ogni comunicazione con l’Istituzione e le mansioni di riordino e dematerializzazione sono operazioni di cui si occupa l’archivista, una figura professionale che fornisce studi e progetti di fattibilità. Se le mansioni di questo progetto non sono quelle archivistiche, è bene che le istituzioni ne prendano atto, sia nelle loro dichiarazioni sia nelle decisioni che firmano; come questa dichiarata dall’ass. Simoncini, la quale, peraltro, è stata firmata dal sindaco uscente Filippo Nogarin, come da atti, il 14 maggio 2019 (n. 423/2019).
Mai come in questo periodo storico risulta necessario parlare, finalmente, con coscienza.
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