“E’ un premio bellissimo, perché viene dalla mia gente. E’ la risposta a quella promessa segreta che avevo fatto sul treno che mi portava a Roma: io andrò laggiù e vi racconterò. In questo modo voi mi dite grazie. E io ringrazio voi”. Sono queste le prime parole che il regista Paolo Virzì ha pronunciato ricevendo il Pegaso d’oro, il massimo riconoscimento della Regione Toscana, dalle mani del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi.
Nel ricevere il riconoscimento al teatro della Compagnia di Firenze il regista di film come “Ovosodo”, “La prima cosa bella”, “Il capitale umano”, “Ella & John” ha voluto rappresentare la forza del suo legame con la terra. “E’ come se questo premio chiudesse il cerchio di quella sfida un po’ folle che avevo fatto a 21 anni andandomene via da Livorno. Avevo il desiderio di raccontare il dolore, la sofferenza della mia gente. E nel farlo ho portato con me quegli strumenti che sento di poter condividere con la gente di Toscana: il sentimento dell’ironia, uno sguardo sulle cose che marcia a braccetto con l’irriverenza, il gusto della burla anche di fronte agli eventi più drammatici”.
Questa capacità di raccontare le fatiche della gente è stata sottolineata anche dal presidente della Regione Rossi nell’intervento che ha preceduto la consegna del premio. “Nei suoi film – ha detto – Virzì ha parlato di noi. Ha parlato delle questioni sociali, dei problemi umani, ha avuto grandi capacità di analisi dei cambiamenti delle persone. Ci ha permesso di identificarci. Nei suoi film c’è una capacità di rendere bene il dolore e la sofferenza delle persone, ma anche di come la comunità, e per comunità si intendono sia la rete familiare, che i volontari che le istituzioni, sia in grado di alleviare la sofferenza e quindi di condividerla. In un momento in cui si parla della necessità di un rapporto col popolo, il suo tratto è stato quello di mantenere sempre questo rap porto, di riuscire ad avere un linguaggio universale ed essere per questo amato da tante persone. Ecco il senso di fondo di questo premio: Virzì è un grande intellettuale della Toscana che non ha mai lasciato il popolo”.
Il Pegaso d’Oro è un riconoscimento istituito dalla Giunta Regionale nel 1993 per segnalare al pubblico encomio cittadini italiani o di altri paesi che hanno reso un servizio alla comunità nazionale ed internazionale attraverso la loro opera in campo culturale, politico, filantropico e del rispetto dei diritti umani. Il premio consiste in una riproduzione del cavallo alato Pegaso, simbolo della Regione Toscana.
Nella breve conferenza stampa che ha seguito la consegna, il regista ha voluto ribadire il valore di riconoscimento anche in relazione al simbolo: “Il Pegaso è quell’animale selvaggio e coraggioso che vola: per me è come un incoraggiamento, è come se mi dicesse: prova a volare ancora un po’. E in fondo è proprio questo il compito degli artisti, degli artigiani del racconto: provare a prendere le cose, anche pesanti, della vita e provare a farle volare e diffondere, dando volto e voce alle tante storie che non ce l’hanno”.
C’è quindi una missione importante nel raccontare, che non è solo artistica , ma anche, per il regista, civile e politica: “In un momento così difficile dove prevalgono le paure, le chiusure, le frontiere, la conoscenza delle storie, il racconto della vita delle persone, sono la possibile ricetta per salvarlo questo pianeta e per poterci vivere pacificamente tutti insieme”.
La cerimonia di consegna del Pegaso è stato il momento culminante di una giornata interamente dedicata al regista livornese. L’hanno aperta ufficialmente la vicepresidente della Regione Toscana Monica Barni e l’assessore a istruzione e formazione Cristina Grieco che hanno salutato i tanti studenti presenti a cui subito dopo è stato mostrato uno dei primi film del regista toscano “Ovosodo”.
Quindi l’arrivo del regista che ha dato vita, con l’animazione dell’attrice toscana Daniela Morozzi, a un bellissimo dialogo con gli studenti cui ha fatto conoscere dal di dentro i suoi film e raccontato tanti episodi della sua carriera, con una particolare attenzione ai suoi esordi toscani. “Cominciai a sedici anni – ha detto – frequentando una compagnia teatrale amatoriale. Con loro feci un primo velleitario lungometraggio. Poi durante l’università partecipai a un bando per entrare al Centro sperimentale di cinematografia. Non ce la farò mai, servono le raccomandazioni, dicevo ai miei amici. Quando poi andai a Roma, Giuliano Montaldo, che era nella commissione, mi mostrò una lettera, un po’ sgrammaticata, a sostegno della mia domanda: l’avevano scritta i portuali di Livorno. Nonostante questa ‘raccomandazione’ fui preso”.
Virzì ha poi ricordato come quella Livorno che aveva lasciato sia poi tornata come protagonista dei suoi film delle storie che nascevano da vite di operai o di persone emarginate, da storie umane spesso drammatiche nelle quali però non è mai mancata la nota di ironia. A uno studente che gli ha chiesto se ha mai pensato di uscire dal genere della commedia ha risposto così: “Se si racconta una storia tristissima e la sia si chiama commedia, è un vittoria: vuol dire che sei riuscito a rendere una cosa straziante in una forma che risulta digeribile”.
L’ultimo suo pensiero di stamani il regista lo ha rivolto al futuro, a un futuro in cui i grandi temi come ambiente, grandi migrazioni non sono locali ma globali e in cui anche chi fa cinema dovrà sempre più adeguarsi. “Il cinema del futuro sarà internazionale – ha detto – il cineasta del futuro sarà quello che saprà raccontare il mondo nuovo”.
Le motivazioni del presidente Enrico Rossi per l’assegnazione del Pegaso d’Oro della Regione Toscana a Paolo Virzì
“Con la sua opera Paolo Virzì ha creato un cinema universale, capace di arrivare al pubblico nella sua interezza, per chiamarlo a riflettere su questioni sociali in una chiave critica e contemporanea. Muovendo dai margini e dal quotidiano, i suoi film raccontano e ritraggono con grande intensità e realismo la condizione umana.
La Toscana nel suo cinema e nella sua letteratura non è solo paesaggio o carattere, ma sostanza sociale, lingua e vita. Nella scelta delle storie, dei personaggi e dei dialoghi, il lavoro e la sofferenza sono due delle dominanti attraverso cui l’autore indaga e narra i rapporti tra gli individui, aderendo alle pieghe del nostro tempo. Da queste direttrici deriva una costellazione di connessioni morali e sociali che ci aiutano a riconoscere esperienze estreme che ci appartengono: la malattia e la cura, lo sfruttamento e il riscatto, l’avidità e la solidarietà, la precarietà, la solitudine e la dignità.
Nel cinema di Paolo Virzì ritroviamo le voci dell’Italia di oggi, i suoi conflitti e le sue speranze. Grazie al suo talento e alla sua sensibilità lo spettatore riesce a identificarsi e a prendere posizione”.
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