Consueto punto della situazione con Sergio Nieri, nostro collaboratore in redazione e al Tg News, sull’emergenza coronavirus e non solo.
Allora Sergio, cosa è cambiato in una settimana, da quando pubblicammo il tuo articolo, molto visto e dibattuto peraltro.
Ringrazio voi, che mi permettete di esprimere qualche parere, in un momento in cui la comunicazione appare di necessità codificata e per certi aspetti non chiara.
Che vuoi dire?
La turbo informazione dei canali generalisti ci inonda quotidianamente del dato raccolto alle 18 dalla Protezione Civile, ma spesso il messaggio è contraddittorio, tipo quello dei contagi e della gestione ospedaliera delle persone malate, per non parlare delle guarigioni.
Ieri la conduttrice del Tg1, con una conduzione a scatti, quasi militaresca, ci ha parlato di “crollo degli accessi ai pronto soccorso”, per planare subito dopo sul dato dei decessi, che ci colloca ai primi posti nel mondo. Ma questo aspetto non è stato evidenziato; sembrava infatti che altrove, tipo Stati Uniti o Spagna, stessero peggio.
In effetti pare che sia così, come te lo spieghi?
Dopo gli alluvionali interventi dei virologi e dei cosiddetti specialisti che popolano gli Istituti di Sanità e il Consiglio Superiore di Sanità, da giorni ci sentiamo dire che il “picco” è vicino, salvo poi spostarlo settimanalmente un po’ più in là e rassicurare sul raffreddamento dei contagi.
Non ho ragioni di non crederlo, ma l’incremento dei casi è comunque relativamente superiore a quanto avveniva intorno al 17 marzo, quando fu deciso in modo autoritativo il blocco totale del Paese.
Allora i contagi incrementavano di 2000 unità, ora di circa 3000/ 3500, dunque siamo ancora in zona rossa, nonostante i ripetuti provvedimenti di restrizione su categorie e persone varati nel corso di questi settimane con il contorno dei modelli di autocertificazione.
In ogni caso, salvo smentite, i trattamenti ospedalieri risultano meno numerosi, soprattutto al Nord, dove evidentemente gli infetti preferiscono “chiudere” questa esperienza tra le mura domestiche, dopo quanto avvenuto nell’inferno di qualche presidio lombardo.
E’ soprattutto lì, oltre che a Piacenza e nelle Marche, che abbiamo registrato atti di autentico eroismo da parte del personale medico e degli stessi infermieri con contagi professionali e morti sul campo. Una cosa inaccettabile che dà i brividi.
E sui decessi che dire?
Evidentemente è un dato frutto di contagi non processabili dalle strutture sanitarie (ad esempio quelli in serie che avvengono nelle case di riposo), di quarantene domestiche “leggere” e non custodite e probabilmente anche di guarigioni date troppo per scontate e comunque rendicontate per le statistiche televisive delle 18.
Un fenomeno di scarto sociale, insomma, acclarato dal fatto che fortunatamente i ricoveri in terapia intensiva non incrementano più di tanto e i decessi che escono di lì (come è accaduto purtroppo a Livorno recentemente) si verificano con modalità assai scaglionate nel tempo.
Stiamo parlando di “sole” 3500 persone tra la vita e la morte in tutta Italia che stanno combattendo la battaglia per la sopravvivenza assistite da personale e strutture all’altezza. E Livorno non fa ovviamente eccezione.
Questo, a mio giudizio, è il vero dato di gravità sanitaria sul quale andrebbe costruita la decisione del Governo sull’eventuale proroga del blocco della vita sociale del Paese e delle stesse attività commerciali e produttive oltre il 3 aprile.
Il dato dei contagi, pur serio, è comunque relativo al numero dei test medici che si fanno (tamponi), e purtroppo su questo si procede in ordine sparso tra Regione e Regione, tra virologo e virologo, tra talk show e talk show.
C’è chi li fa, altri che non li fanno, altri ancora che vorrebbero ampliarli agli asintomatici, altri che ci stanno pensando. Insomma, non si è capito una mazza e qui credo sia clamorosamente mancato il Ministero della Salute, che proprio oggi si sveglia e ci dice (forse per giustificare la proroga del blocco oltre il 3 aprile) che l’epidemia è potente ed è ancora in corso.
Ma, allo stesso tempo, non introduce l’obbligo comportamentale delle mascherine e di altri dispositivi di sicurezza come in Cina. Tutto lasciato all’improvvisazione personale e senza un orizzonte determinato. Da brividi.
E sul piano economico che dire?
E’ vero che i virus “livella”, colpendo tutte le condizioni sociali, ma è altrettanto vero che le conseguenze economiche della clausura di Stato generano profonde sperequazioni se non addirittura in taluni casi, tipo le case minime o gli alloggi insalubri, un autentico danno biologico che nessuno risarcirà.
Il Governo ha individuato alcune categorie da sostenere, vedi autonomi e lavoratori stagionali e dello spettacolo, con un contributo certamente insufficiente di 600 euro da domandare all’Inps per via telematica (con procedura semplificata) a incassabile (forse) dalla metà di aprile.
Andrà comunque ampliata la platea dei beneficiari, perchè nelle pieghe del terziario precarizzato, e questa è una condizione diffusa a anche a Livorno, ci sono una miriade di lavori non tutelati dalla norma scritta in fretta e furia dal Governo.
Ci sono poi quelli che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali (tipo mobilità e Naspi), rimasti bloccati in casa e dunque senza l’opportunità di rivolgersi ai Caf (anch’essi chiusi) per chiedere quanto meno il reddito di cittadinanza (di cui va comunque rivisto il criterio di calcolo) o di procurarsi privatamente nuovo lavoro.
Per loro in vista al massimo dei buoni spesa, lo ha dichiarato Conte proprio ieri nel corso di una fluviale conferenza stampa al Tg1, ma dovranno essere i Comuni ad accertare il loro effettivo stato di bisogno, dopo una veloce istruttoria. Non sarà semplice. E i fondi sono comunque limitati.
Buon lavoro a tutti.
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