“Io per un pareggio ci metterei la firma”. Nessuna frase è più infelice di questa e se parliamo di una squadra che punta alla promozione, lo è ancora di più. Perché diciamolo chiaramente, è il ritorno nei professionisti a cui il Livorno può e deve puntare. I campionati non si giocano tanto per fare, e se si parla di una società che vanta un passato non troppo lontano in serie A, non puoi restare fermo a guardare; non stai rispettando il tuo retaggio e chi ha lottato tanto per farti respirare l’aria buona del calcio del conta, merita di non vedere vanificato il proprio lavoro. E forse, questo il Livorno lo ha cominciato a capire.
C’è stato qualcosa nella partita giocata domenica contro l’Ostia Mare che è cambiato nella mente dei giocatori, uno scatto che forse è avvenuto successivamente al rientro di Collacchioni dopo l’esonero lampo durato giusto un tramonto e un’alba. Una squadra che è sempre stata fra i primi posti eppure nonostante questo non ci ha mai creduto abbastanza. Una squadra sconnessa che si è spesso chiusa nella metà campo sbagliata, che non ha quasi mai imposto il proprio gioco anche in partite sulla carta alla propria portata e che pareva aver dimenticato come si giocasse a pallone. Una squadra nei cui cui occhi si leggeva sovente la paura di vincere, il timore di vestire la maglia amaranto che onestamente facevamo fatica a comprendere. La partita contro l’Arezzo ne era stato un chiaro esempio, undici giocatori annientati da una squadra avversaria neanche troppo brillante e per di più con un uomo in meno. Si sarebbe potuta chiudere a nostro favore e a chi dice un punto guadagnato io rispondo che vedo solo due punti sprecati visto come si erano messe le cose.
Domenica scorsa poi il ritorno al Picchi dopo due trasferte e dopo un primo tempo deludente, finalmente la svolta. Ma non si parla della vittoria in sé che doveva essere assolutamente portata a casa per ovvi motivi; la vera vittoria è stato vedere il Livorno giocare e imporre la propria impronta in un partita in cui era ammissibile un solo risultato. Se questo atteggiamento ci fosse stato in altre occasioni, chissà che non ci saremmo anche noi a far compagnia alla Pianese al primo posto; la squadra di Bonuccelli ha probabilmente sulla carta meno chance dell’Arezzo eppure il tabellone dei marcatori parla chiaro così come la classifica. E se ci credono loro, perché non dovremmo farlo noi? Si è parlato di pressione psicologica che un giocatore può provare nell’indossare la maglia amaranto. Lo spunto per queste riflessioni me lo ha dato proprio un nostro caro ex giocatore, Jury Cannarsa, difensore di grande qualità e adesso allenatore, che nella trasmissione “Avanti Livorno” ha parlato proprio di questo fattore che sarebbe stato deleterio per i nostri ragazzi. La pressione esterna che arriva dai tifosi è una qualcosa che fa parte dello sport, del calcio in particolar modo; qui a Livorno basta indossare un giacchetto con scritto Legea per sentirsi allenatori, ma fa parte del gioco e dovrebbe essere da stimolo per fare sempre di più.
Se la memoria non mi inganna, nell’ormai lontano 2002 un certo numero 10 fu criticato al termine della partita contro il Messina per aver portato dei fiori in onore di un tifoso siciliano scomparso. Parliamo di Igor Protti, parliamo di anni in cui il Livorno viaggiava a ritmi importanti e con i fari puntati costantemente addosso. Tutto poi rientrò date le scuse che le brigate autonome livornesi porsero allo stesso Igor che da signore fece rientrare la cosa. Questo per far capire che nessuno la scampa a Livorno; anche se di nome fai Igor e di cognome Protti, non ti verrà mai scontato niente. Queste sono le regole (non scritte) del calcio e vanno accettate, fino a che non si superano certi limiti credo che tutto questo sia una sorta di prezzo da pagare per la carriera che si è consapevolmente scelta. Credo anche, che aver vestito la maglia amaranto possa essere solo un valore aggiunto per una futura carriera calcistica. I mezzi ci sono, le motivazioni anche; domenica voglio vedere un Livorno a testa alta che a Piancastagnaio va per giocarsi la sua partita. I fatti parlano chiaro, la classifica anche. Si vince, si perde, si pareggia, tutto può accadere ma la mentalità deve essere rivolta ad un solo risultato. Forza ragazzi!
Agnese Gaglio
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