Greenpeace Italia e WWF Italia hanno da sempre dichiarato la propria contrarietà alla realizzazione di un rigassificatore nel porto di Piombino per ragioni legate agli impatti ambientali anche su aree marine di pregio, come il Santuario dei Cetacei, e a terra (che interessano il sito “Padule Orti-Bottagone” classificato come Zona Speciale di Conservazione e Zona di Protezione Speciale della Rete Natura 2000 dell’Unione Europea). Le organizzazioni hanno fin dall’inizio denunciato l’assoluta anomalia di un procedimento ambientale autorizzatorio, che si è concluso solo durante il processo davanti al TAR, mentre la messa in esercizio dell’impianto risale a luglio dello scorso anno. Una procedura incredibile, che sovverte uno dei principi fondamentali del Codice dell’Ambiente (e cioè la completezza del progetto all’atto della sottoposizione ad autorizzazione) e che, pertanto, costituisce un precedente gravissimo. Secondo Greenpeace Italia e WWF Italia, rappresentate in giudizio dall’avvocato Andrea Filippini, il giudice amministrativo avrebbe dovuto certamente censurare la procedura senza precedenti. La ricerca di una soluzione all’emergenza energetica determinatasi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, su cui peraltro la nave rigassificatrice non ha inciso, non può giustificare lo stravolgimento delle procedure fissate dalla normativa di protezione ambientale italiana ed europea. Il TAR del Lazio ha, invece, ritenuto di non dover accogliere le motivazioni delle organizzazioni ambientaliste e quelle dell’Amministrazione comunale: ora seguirà un confronto con i legali e si valuteranno eventuali ulteriori azioni. Certamente, la scelta di investire milioni di euro in un rigassificatore non va nella direzione di una seria azione per contrastare la crisi climatica, azione che passa prioritariamente dall’uscita dalle fonti fossili. L’utilità di nuove infrastrutture GNL, che utilizzano il gas naturale – costituito sostanzialmente da metano (CH4), un gas serra con potere climalterante fino a 83 volte quello della CO2 – è inoltre dubbia anche sotto il profilo della sicurezza energetica, considerata la già esistente capacità di approvvigionamento italiana (ben 83 miliardi di m3 anno – già epurata dal gas russo) e i dati decrescenti della domanda di consumo (68,5 miliardi di m3 nel 2022, calo che nei primi 8 mesi del 2023 è addirittura aumentato arrivando a -14,7% rispetto allo stesso periodo 2022). In conclusione, non si può che riscontrare come il rigassificatore costituisca un investimento poco lungimirante che rischia pericolosamente di trasformarsi in stranded asset (investimento che perde valore prima di essere completamente ammortizzato), con severi costi per la collettività e per gli obiettivi di decarbonizzazione. Ulteriore aspetto sconcertante della sentenza del TAR Lazio riguarda poi la condanna alle spese: non solo quella – pesantissima – a carico del Comune di Piombino (90.000 euro), ma anche quella di ben 15.000 euro per i ricorrenti ad adiuvandum. Specie questa seconda condanna non ha – di nuovo – precedenti nella giurisprudenza amministrativa e suona quasi come un invito ai portatori di interessi generali e diffusi, di cui comunque la Costituzione riconosce il ruolo attraverso il principio di sussidiarietà, a non occuparsi della cosa pubblica. Soprattutto per casi dibattuti e complessi come questo, (a testimoniarlo oltre 200 pagine di sentenza) è giustificato l’intervento ad adiuvandum da parte delle associazioni di protezione dell’ambiente per cui la condanna alle spese in tale misura appare particolarmente grave e significativa.
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