Premessa: questo non è un tentativo di difesa verso l’attuale società. Sicuramente Joel Esciua non ha bisogno di avvocati difensori che portano il mio nome, e in ogni caso non ho alcuna intenzione di incarnare questa figura. Seconda premessa: io amo l’unione sportiva Livorno. La fede è fede, non si può spiegare; mistero della fede, si potrebbe persino dire, ma scomodare le sacre scritture per parlare di calcio mi sembra quantomeno eccessivo. Detto questo. Sembra di essere dentro a un libro di Agatha Crhistie, “Dieci piccoli indiani”. “E alla fine ne rimase solo uno…” ma chi, la spunterà? Il Livorno calcio. Perché questo deve essere il fulcro della discussione e ho il timore che tutte queste chiacchiere possano farci perdere tempo prezioso. Di nuovo. Non è andata come speravamo quest’anno, al di là dei risultati sportivi che sostanzialmente sono stati gli stessi dell’anno precedente, altri sono i fatti che ci hanno dato da chiacchierare. Li conosciamo, e sappiamo che hanno portato ad una piena rottura fra la società e una parte dei tifosi. Il mondo del calcio è un ambiente entro il quale è necessario sapersi muovere; ed è chiaro che c’è stato un vero e proprio problema in questo senso. Le dimissioni di svariate figure all’interno della società; la diatriba politica che ha tenuto banco più dei risultati sportivi; i malumori diffusi; la sensazione di non aver sfruttato a dovere quei giovani che potevano tornarci comodo e che preferiranno accasarsi altrove; le affermazioni ironiche, le frasi sottointese e la consapevolezza di aver perso di mira l’obiettivo principale che era quello di provare a vincere questo campionato. Un campionato mediocre. Un campionato che si poteva portare a casa con un minimo di sforzo in più. Mi limito a raccontare dei fatti, la logica mi suggerisce un’unica conclusione. Ovvia. Con dispiacere lo dico, perché onestamente non mi aspettavo tutto questo. Ma poi, ecco arrivare il Messia. Lo definisco così perché a quanto pare risulta impossibile in questa sede non continuare a disturbare le sacre scritture. Che amore grande il Livorno. In questo clima di scontento generale, è stato abbastanza semplice per Andrea Locatelli avere dei consensi. Se poi, è anche appoggiato da alcune leggende amaranto, tutto risulta molto semplice. Il tifoso però ha memoria breve, si è dimenticato di cosa diceva un anno fa più o meno di questi tempi. Se lo avete scordato, non sarò certo io a rinfrescarvi la memoria. Io non conosco il signore in questione, neanche e soprattutto dal punto di vista imprenditoriale se non per alcune cose riportate dalla stampa. Sono certa che abbia le migliori intenzioni. Me lo auguro e se mai dovesse avere in mano lui le redini della società, io lo appoggerò e darò lui il mio sostegno. Ma al momento, non vedo fatti. Da ambo le parti. Ho ascoltato troppe parole. Tutto troppo, tutto tanto. Vedo il fumo ma non vedo l’arrosto. C’è forse l’allenatore, c’è il direttore sportivo. Vedo dei bei mobili, una splendida cucina a isola e un divano in vera pelle. Ma non vedo la casa. Azionariato popolare: sicuri che sia la scelta giusta? Anche io voglio un pezzo di Livorno. Come un pezzo di carne, lo compriamo in macelleria. Smembrato. Fatto a pezzi e acquistato da chiunque voglia avere voce in capitolo. Chiunque voglia avere voce in capitolo. Perché fidatevi, tutti vorranno dire la loro. Forse anche da chi il Livorno lo va a vedere solo quando le cose vanno bene. L’idea è bellissima, ma ci vuole grande intelligenza per metterla in atto. E soprattutto, tanto impegno e lavoro. La serata al Goldoni ha quel che dell’effetto “Wow” dui cui al giorno d’oggi sembriamo necessitare a tutti i costi. A me invece, manca un po’ di silenzio. Probabilmente era necessario agire così perché visto il momento delicato, sarebbe stato poco furbo non approfittarne. I giocatori sono scaltri, aspettano il passo dell’altro per compiere la mossa. Esciua che poche ore prima della serata comunica di non aver ricevuto alcuna proposta (cosa vera e verificabile). La controparte che risponde con dei power point molto ben confezionati. No, non riesco a stare dalla parte di nessuno. Se non del Livorno. Perché oggi è così terribile pensare di poter agire a bassa voce? Abbiamo parlato tutti, troppo. Anche a sproposito a volte. Caliamo il sipario. Basta spettacoli. Solo fatti. Livorno. Basta.
Agnese Gaglio
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