Durante il primo anno della pandemia sono diminuite in Italia le nascite pretermine (prima delle 37 settimane di gestazione). Lo dimostra uno studio pubblicato, recentemente dalla prestigiosa rivista British Journal of Obstetrics and Gynecology, coordinato dall’Azienda USL Toscana nord ovest in collaborazione con l’Agenzia Regionale di Sanità della Regione Toscana (ARS).
Fin dal momento della comparsa del Covid-19, i suoi effetti sulle donne in gravidanza e sui neonati hanno preoccupato anche ginecologi e neonatologi. L’attenzione è stata inizialmente rivolta agli effetti diretti dell’infezione su donne e bambini ma – come si è visto nei mesi seguenti – anche gli effetti indiretti, legati alle misure di contenimento (lockdown, isolamento, ecc), sono stati rilevanti. L’andamento delle nascite pretermine durante l’emergenza pandemica non era stato studiato finora in Italia e non è chiaro nel mondo. La rivista British Journal of Obstetrics and Gynecology ha dunque adesso pubblicato questo studio, coordinato dall’Azienda USL Toscana nord ovest e dall’Agenzia Regionale di Sanità) e promosso dalla Associazione Italiana di Epidemiologia, che ne chiarisce l’andamento in Italia: “Pregnancy outcomes in Italy during COVID-19 pandemic: A population-based cohort study” (https://doi.org/10.1111/1471-0528.17315).
L’iniziativa ha visto la collaborazione di 10 regioni italiane (che coprono l’84.3% delle nascite in Italia) e ha analizzato i dati del Certificato di assistenza al parto (CEDAP).
“Il nostro studio – afferma la dottoressa Franca Rusconi, prima firmataria dell’articolo – dimostra che durante il primo anno di pandemia il numero e la percentuale dei nati pretermine sono diminuiti in Italia. Ciò è di estrema importanza perché la nascita pretermine è una delle principali cause di mortalità neonatale e infantile e di disabilità. È stato quindi rilevante studiarne l’andamento pre e post pandemia e confrontarsi con i dati di altre nazioni”.
Nell’articolo, che ha analizzato quasi 1,5 milioni di nati, l’andamento delle nascite pretermine è stato confrontato in due periodi: quello del primo anno di pandemia, marzo 2020 – marzo 2021, e quello pre-pandemia – dal 2017 al febbraio 2020.
Lo studio ha mostrato due fenomeni importanti e nuovi: un trend in diminuzione per i nati pretermine di tutte le età gestazionali dal 2017 in avanti e una ulteriore diminuzione a partire da marzo 2020, in corrispondenza dell’entrata in vigore di numerose restrizioni a livello di popolazione.
“Come tutti sappiamo – prosegue la dottoressa Rusconi – i nati sono in calo in Italia da alcuni anni, ma lo studio ha mostrato che i nati pretermine sono calati in modo più spiccato rispetto ai nati a termine, e che questo andamento era preesistente alla pandemia. Il Covid ha insomma bruscamente accentuato il fenomeno. Un altro punto fondamentale è che non vi è stato contemporaneamente un aumento dei nati morti, segno che le restrizioni non hanno prodotto, come si temeva, un ritardo all’accesso alle cure delle donne in gravidanza. Evidentemente, il sistema ha tenuto”.
“Lo studio è importante – aggiunge Luigi Gagliardi, direttore del dipartimento materno-infantile dell’Asl e altro autore dell’articolo – anche perché mostra come la collaborazione tra diverse istituzioni possa portare ad avere in tempi brevi dati utili a comprendere la portata di fenomeni inaspettati come l’emergenza Covid. Per altre questioni e patologie, come si sa, il periodo dell’emergenza pandemica è stato un periodo molto negativo, ma così non pare essere stato per la nascita pretermine.
E’ naturale chiedersi come il Covid abbia prodotto questo effetto positivo. I fattori associati alla nascita pretermine sono molteplici e non tutti presenti nei dati del Certificato di assistenza al parto; un ruolo lo ha presumibilmente giocato la chiusura o forte diminuzione di attività dei centri di Procreazione medicalmente assistita. Altri fattori che sarebbe importante studiare sono quelli legati alla modifica degli stili di vita: meno vita sociale, maggiore riposo delle gravide, diminuzione delle infezioni. Il Covid ha rappresentato un gigantesco esperimento naturale, come lo chiamiamo in medicina, che ci ha mostrato che anche una condizione apparentemente ineluttabile come la nascita pretermine in verità si può ridurre, e ci indica alcune possibili strategie.”
Il dottor Gagliardi, da clinico, esprime anche una considerazione finale: “I dati vengono routinariamente raccolti da ostetriche e neonatologi e neonatologhe, ma spesso non vengono valorizzati. Invece, possono, anzi devono, essere utilizzati anche a livello delle singole Asl e degli ospedali per migliorare la qualità delle cure, con un confronto anche tra strutture e nel tempo: pensiamo ad esempio ai dati sull’inizio dell’allattamento al seno e altre buone pratiche come il contatto precoce pelle a pelle mamma-bambino, o la presenza del partner al momento del parto. Il Certificato di assistenza al parto rende disponibili anche dati di contesto socio-culturale come la nazionalità materna e paterna e il grado di istruzione, importanti per progetti di miglioramento ad hoc rispetto alla Equity of care, uno dei pilastri delle cure di qualità”.
Lascia un commento