Lo stop obbligato di questo 2020 obbliga gli amanti del calcio in particolare a rivolgersi alle trasmissioni televisive parlate, vista la mancanza di partite live. Vanno sicuramente ringraziate perché consentono una distrazione in quei momenti loro dedicati di parecchie persone che vogliono sfuggire alle deprimenti sfilze di numeri negativi che ci vengono propinate costantemente. C’è però un aspetto che accomuna tutte queste trasmissioni indistintamente, una tediosa mancanza di analisi obiettiva: sono 2 gli approcci possibili in una vicenda come questa: quello del buonsenso e quello giuridico e non vanno quasi mai d’accordo. In tutte le trasmissioni televisive abbiamo visto però esaminato esclusivamente o quasi solo il primo aspetto. Le opzioni possibili per quello che riguarda il calcio sono 3: cancellazione dei campionati, congelamento della classifica attuale decretando promozioni e retrocessioni oppure riprendere a giocare quando possibile. Esaminando queste opzioni dal punto di vista del buonsenso si arriva alla soluzione ovvia che in situazioni come l’attuale con l’incertezza di quando si potrà ricominciare sarebbe meglio mollare tutto e pensare al prossimo campionato; poi però c’è l’aspetto giuridico costantemente ignorato dai molti opinionisti di turno. Chi pensa ad abbandonare questo campionato non prende mai in considerazione l’inevitabile ricorso al tar che squadre come la Lazio (ad 1 punto dalla vetta) in Serie A od il Benevento in Serie B (a +20 dalla seconda) senza parlare delle capoliste della Serie C e delle varie retrocesse (ad esempio la Cremonese ha una gara in meno del Venezia con cui dovrebbe disputare il play out). Ma per restare vicino a noi, chi è che può ritenere giusto che la Pro Livorno con 6 punti in più della seconda a poche giornate dalla fine del torneo debba rinunciare alla promozione in Serie D? Il fatto di avere il prossimo campionato con una A a 21 o 22 ed una B a 25 o 26 è pura follia: si tratta di ricorsi già vinti in partenza che bloccherebbero qualsiasi decisione presa nel frattempo. Si perché nelle Norme Organizzative Interne Federali (NOIF) che ogni squadra accetta quando si iscrive al campionato è espressamente scritto che non si possono cambiare le regole a campionato in corso. Certo si possono cambiare anche le NOIF ma ci vuole l’unanimità, chi è che crede che ora ciò sia possibile? Cancellare i campionati non vuol dire solo cancellare gol fatti, presenze e cartellini ma come la mettiamo con le assicurazioni e le scommesse fatte e pagate? Sarebbe come se una madre che ha un figlio di 10 mesi malato, ed è rimasta nel frattempo in cinta, decidesse di abbandonare il bambino che c’è per pensare a quello che deve arrivare: impossibile ed ingiusto moralmente. Ma certo alcuni presidenti spingono per questa soluzione per risparmiare il pagamento degli stipendi e magari salvare una stagione fallimentare. L’unica soluzione giuridicamente accettabile (perché accettata da tutti al momento dell’iscrizione ai campionati) sarebbe ripartire con queste classifiche quando sarà possibile, a porte chiuse e magari per il prossimo campionato cambiando anche (FIFA) quelle regole PRIMA di cominciarlo, tipo eliminare la lunga sosta natalizia (3 settimane in B) e magari anche basta con le soste del campionato quando gioca la nazionale (assurdo che la cosa venga poi fatta in Serie B) e se ci sono grandi squadre che si lamenteranno, pazienza; d’altronde se hanno rose lunghissime potranno sempre far giocare quei giocatori che ne fanno parte invece dei campioni andati a giocarsi le qualificazioni ai mondiali del 2022. Una soluzione proposta dalla NBA in America (torneo che come ricavi fa impallidire la Premier League e gli altri campionati europei) prevede di concludere il torneo raggruppando tutte le squadre in una sola città (Las Vegas) per 6 settimane nelle quali disputare tutte le gare previste, mantenendo i giocatori in ritiro continuato per evitare contagi e salvaguardando i ricavi da sponsor e diritti televisivi. Un’idea simile pare si possa applicare in Inghilterra, sfortunatamente la cosa non pare essere possibile in Italia semplicemente per il fatto che non esiste città Italiana dotata di un numero di stadi sufficiente.
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