I regolamenti comunali sul gioco non possono vietare totalmente un’attività lecita a livello statale. Il Tar Toscana, riferisce Agipronews, boccia e annulla la delibera del Comune di Livorno con cui lo scorso ottobre è stata disciplinata l’apertura di sale giochi e l’installazione di apparecchi. Nella sentenza che accoglie il ricorso della società Nolomatic, il Collegio della Seconda sezione ricorda che il regolamento di Livorno ha ampliato la lista di luoghi sensibili prevista dalla legge regionale (che prevede una distanza minima di 500 metri), includendo anche studi medici, palestre, piazze e parchi. Un fitto elenco che di fatto impedirebbe l’apertura di nuove sale giochi. “Le pur lodevoli intenzioni di contrastare il gioco compulsivo e le conseguenze negative che ne derivano non può esprimersi in atti che finiscono con lo svuotare completamente l’esercizio della libertà di iniziativa economica – si legge nella sentenza – A fronte di una attività ammessa e disciplinata dalla legislazione statale, l’ente locale non può adottare provvedimenti che finiscano per inibire completamente il suo esercizio, poiché in tal modo verrebbe sostanzialmente espropriato il diritto di iniziativa economica”. Il regolamento in questione è per i giudici troppo ampio e generico eunque a Livorno “l’Amministrazione ha effettuato un’espropriazione di fatto della libertà di iniziativa economica”. L’inibizione totale “avrebbe dovuto trovare rappresentazione in atti di carattere politico quali, ad esempio, una mozione rivolta agli organi statali per modificare la normativa (statale) che lo consente. Ma finché detta normativa resta vigente – concludono i giudici – gli atti dell’Amministrazione comunale non possono arrivare a vietare tout court un’attività considerata lecita dall’ordinamento”. Giochi e distanziometro, Tar Toscana: “Legge regionale legittima, va applicata anche dalle Questure” Il Tar Toscana boccia il regolamento sul distanziometro a Livorno, ma in linea generale ribadisce la legittimità delle distanze minime per la prevenzione della ludopatia. In questo caso, riporta Agipronews, i giudici della Seconda sezione respingono il ricorso della Toscana Gaming, a cui la Questura di Pisa ha negato la licenza per l’installazione di apparecchi a causa della mancata certificazione delle distanze minime previste dalla legge regionale. “La questione dell’applicabilità anche da parte degli Organi del Ministero dell’Interno delle previsioni della legge regionale è già stata affrontata dalla Sezione”, ricordano i giudici nella sentenza. “Detta legge regionale è finalizzata alla prevenzione della ludopatia e quindi destinata alla soddisfazione di un interesse pubblico attinente alla materia sociale e sanitaria, e perciò deve essere applicata anche da parte degli organi del Ministero dell’Interno”. Il Collegio ribadisce che “il potere degli enti locali di imporre distanze minime tra gli spazi dedicati al gioco e i luoghi sensibili può essere riportato alla loro potestà” e nel caso della legge toscana – di contenuto precettivo e non programmatico – sono ben definiti i luoghi ritenuti sensibili. Nogarin: “Stanno cercando di disarmare i Comuni nella lotta contro la ludopatia” «Stanno cercando di disarmare i Comuni nella lotta contro la ludopatia. A Livorno non lo permetteremo. Se Anci e Governo vogliono, possono sottoscrivere il nostro regolamento contro la ludopatia e farlo approvare in tutti i Comuni e le Regioni d’Italia». Così lo scorso 3 febbraio parlava Filippo Nogarin, sindaco di Livorno, nelle more del dibattito tra l’Esecutivo e gli enti locali sul piano di riordino nazionale del settore giochi. A distanza di poco più di tre mesi, riferisce Agipronews, il regolamento “modello” è stato bocciato dal Tar Toscana, per la sua lunga lista di luoghi sensibili, che di fatto impedirebbe l’apertura di nuove sale giochi nel territorio comunale. Le pur lodevoli intenzioni di contrastare il gioco compulsivo, hanno argomentato i giudici, «non può esprimersi in atti che finiscono con lo svuotare completamente l’esercizio della libertà di iniziativa economica» ed espropriano sostanzialmente «il diritto di iniziativa economica».
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