Anticipiamo l’appuntamento con il nostro commentatore flessibile Sergio Nieri per avere una sua interpretazione su quanto sta accadendo nel Paese. Piu’ avanti valuteremo i riflessi sul piano locale, dove per la prima volta si potrebbe prefigurare una intesa fra Pd e Cinque Stelle all’inizio della gestione Salvetti
Insomma Sergio, ti sei fatto un’idea della crisi del governo giallo-verde?
“Ma, sapete, è stata una Crisi innescata con tutta evidenza da Salvini, ma occorre riconoscere che ad andare in crisi precocemente è stata la struttura stessa del contratto di Governo.
In che senso?
Viviamo una dimensione politica fortemente sdoppiata. Quella calibrata sui sondaggi e sul consenso tributato mediaticamente alla personalità dei singoli Leader in primo luogo, e quella legata alle regole e ai seggi del quadro istituzionale e parlamentare, come quello venuto fuori dal voto del 4 Marzo 2018.
Il contratto di Governo tra M5s e Lega, con contenuti talvolta significativi, è stato modellato solo sul secondo aspetto e presupponeva un rapporto di pari dignità tra i contraenti.
Poi che è successo?
“E’ successo come tutti sanno che Salvini, a torto o ragione, ha ingranato la quinta marcia percorrendo la corsia di sorpasso. Una condizione che conferisce brivido ed euforia, talvolta facendo perdere il senso del limite. Il suo attuale 36/38 per cento si spiega cosi’, complice la sovrapposizione mediatica della politica anti sbarchi condotta contro le Ong sostenute dal capitale globale e da alcune multinazionali e gestite dall’estrema sinistra, sulla faticosa quadratura dei conti pubblici.
Un passaggio non banale, quest’ultimo, che pure aveva fruttato interventi di grande impatto sociale e fiscale come il reddito di cittadinanza, quota 100 e la stessa pace fiscale (saldo e stralcio e rottamazione ter) per riportare sul livello di sopravvivenza almeno una decina di milioni di italiani colpiti dalla crisi e altrimenti destinati alla rottamazione sociale cara al primo Renzi.
Una manovra dignitosa, ottenuta senza andare in Europa con il cappello in mano, fatta con un realistico livello di indebitamento che non ha comportato alcuna significativa forma di flessibilita’, almeno pari a quelle chieste a suo tempo dal duo Renzi- Padoan per finanziare un sacco di spesa in deficit.(Jobs Act e varie forme di bonus in primo luogo)”
Sfugge pero’ il motivo per il quale Salvini avrebbe ribaltato il quadro con un colpo di biliardo
“Lo ha fatto perchè si è reso conto che l’Europa era entrata in crisi economicamente senza che Spagna Francia e Germania ne avessero minimamente risentito sul piano politico.
Il modello contrattuale insomma non sarebbe stato piu’ esportabile, e oltretutto, in autunno, si sarebbe dovuto misurare con una manovra all’1.8% di indebitamento con scarse o nulle possibilità di introdurre la riforma fiscale con la quale avrebbe potuto conquistare definitivamente il ceto medio (Flat Tax universale al 15%).
O meglio, lo avrebbe potuto fare, ma al prezzo di demolire i provvedimenti di spesa (in primis, il reddito di cittadinanza) cari all’altro contraente, il M5S, che intanto aveva obiettivamente cambiato linea politica sull’Europa contribuendo all’elezione della nuova Presidente della Commissione Europea, già ministra della Merkel.
Una scelta che ha fatto obiettivamente balenare la possibilità di politiche fiscali molto selettive in arrivo, in assenza di soddisfacenti livelli di crescita. E con un Conte, Presidente del Consiglio a sua insaputa, sempre più nell’orbita del Quirinale, dell’Europa e di alcuni poteri forti.
Esattamente il contrario di quanto avrebbe voluto e sognato la Lega. A quel punto il contratto era su un binario morto. Il Capitano, prima di rompere, ha avviato consultazioni “personali” al Viminale e i Cinque Stelle hanno risposto sollevando questioni identitarie, una per tutte quella anti Tav, che ha rappresentato la pistola fumante della crisi oltre ad alimentare la mistica dei “No”, dietro ai quali si è scudato Salvini per fratturare il quadro “anti crescita” e “pro tax” dei partiti filo europei.
E ora che succede?
Come noto sono in corso trattative tra il Pd di Zingaretti e quanto rimane del Movimento a Cinque Stelle. Ad oggi non sappiamo quanto potrebbe accadere, anche se la sensazione, nonostante le profonde differenze che agitano le rispettive basi, è che si potrebbe andare ad un compromesso, questa volta non contrattuale e basato su pochi punti, e per il tempo necessario a raffreddare il consenso popolare di cui gode l’ex contraente dei Cinque Stelle.
Uno scenario non esaltante, voluto dal senatore semplice Matteo Renzi per mettere in sicurezza i gruppi parlamentari selezionati da lui nel 2018 e fortemente richiesto da Grillo ai propri adepti, nella certezza che nuove elezioni avrebbero certificato il declino definitivo del Movimento. Vedremo con quali riflessi sul piano locale in un prossimo intervento.
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