Capita, casualmente, che vedi un post su un noto social network in cui un famoso club livornese si trova costretto ad annullare il pullman per la trasferta di sabato per mancanza di adesioni. Ora. C’è la crisi. C’è chi, come me, il sabato lavora. C’è chi magari ha l’influenza. Però, non possiamo negare che questa cosa faccia riflettere. Nell’esatto momento in cui la scia positiva del Livorno ha cominciato ad evaporare, nell’esatto momento in cui le intenzioni della società sul campionato in corso hanno sembrato vertere più su un progetto futuro che immediato di promozione, qualcosa è cambiato. Prendo ad esempio quindi questo fatto, anche se l’aria che tirava non era già delle più positive. Partiamo dal presupposto che per fare i campionati ci vogliono i soldi. E in questo momento storico, se il tuo campionato è quello dei dilettanti, vita facile non la hai. Sei posizionato su uno degli ultimi gradini della scala gerarchica del calcio, e anche se la zona è molto affollata, non si può negare che la tua considerazione fra gli alti livelli è quasi pari a zero.
Poi, non ti chiami Fiorentina (o Florentia Viola per chi se la ricorda) che ti fanno saltare da un campionato all’altro per meriti sportivi. Al Livorno, ai livornesi, che io ricordi, non è mai stato regalato niente. Siamo reduci da una gestione scellerata della società, dopo anni di gloria che gli riconosco abbiamo fatto una discesa verso il basso impossibile da tollerare soprattutto moralmente, siamo stati quindi riacciuffati per i capelli dal signor Toccafondi il quale non ha potuto fare altro se non evitare che il nome Livorno sparisse tra le squadre di calcio. Nessuno, in città, si e’ fatto avanti.
Ma non è solo la storia recente a parlare, possiamo andare anche indietro di più di vent’anni per accorgerci che a Livorno è sempre mancata una certa cultura dello sport, ed è strano da dire perché io mi sono innamorata di questo sport proprio grazie alle persone, al tifo, al calore che vedevo intorno alla squadra. Io non so come andranno le cose, probabilmente le difficoltà nel tenere il passo con le prime squadre della classifica e riscontrate dalla società (basti vedere gli ultimi movimenti di mercato che hanno sconvolto totalmente il poco produttivo reparto attacco) ormai sono troppo grandi da gestire e recuperare. Ma si può lavorare sul futuro, anche abbastanza prossimo. Tutti, possiamo lavorare. Tutto questo per dire cosa? Non insinuo nulla, sono mille le motivazioni per cui le trasferte saltano.
Questo e’ stato solo un pretesto perché volevo ricordare ai livornesi che Il Livorno e’ sempre il Livorno qualsiasi sia la categoria in cui si ritrova a giocare. Sono dell’idea che finché la matematica non ci condanna non possiamo fare previsioni ma anche se questo fosse uno dei tanti campionati di transizione, se anche il Livorno dovesse giocare i prossimi dieci anni raschiando il fondo delle categorie, ogni volta che potrò sarò allo stadio o anche solo a parlarne al bar. Qualcuno può dire: andiamo allo stadio per cosa? Per il Livorno, vi rispondo. Un obiettivo c’è? Si, quello c’è sempre, se non fosse altro quello di ricreare uno zoccolo duro capace di riportarci nel calcio che conta. Io, ricordo, Melara, Grauso, Cannarsa. E ancora Vigiani, Vanigli, Balleri. Posso e voglio sperare che anche mio figlio fra vent’anni ricordi la sua formazione.
Il calcio non sarà più quello di una volta probabilmente ma perché le persone che lo fanno non ci provano almeno a credere? Noi tifosi, se così vogliamo definirci, abbiamo l’obbligo morale di non abbandonare la squadra neanche quando i gol non arrivano, la classifica trema e l’allenatore non ci convince. Arrabbiamoci, parliamone, discutiamone, tutto va bene purché non ci sia indifferenza. Ho sempre avuto la netta sensazione che il calcio a Livorno abbia sempre avuto un ruolo di rilievo fittizio, ossia intorno ad esso non ho mai visto un progetto vero. Si è goduto quando c’era da godere con soddisfazione di tutti, anche la mia.
Ma mi è mancato vedere un investimento per il futuro, come un banalissimo centro per allenarsi che oggi ci saremmo ritrovati. Lo sport è cultura, prestigio, e anche lavoro. Sono tante le cose che si possono fare, a noi è solo chiesto di non abbandonare la nave in mezzo alla tempesta, di tenete duro e provare a credere che la quiete arriverà il prima possibile.
Agnese Gaglio
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