Ritroviamo Sergio Nieri, commentatore di Tg News, per il consueto punto della situazione sullo scenario nazionale e locale.
Allora Sergio, torniamo a sentirci dopo circa un trimestre dall’ultimo contatto con Livorno24. Inutile dire che nello spartito delle cronache è sempre il virus a farla da padrone.
“Purtroppo si, e dico purtroppo perché la pandemia ha probabilmente affinato “il senso di responsabilità” dei cittadini che con pazienza e da bravi “pazienti designati” hanno collaborato all’attuazione dei severi provvedimenti di contenimento.
Ma al tempo stesso questa situazione ha visibilmente rallentato la vita democratica del Paese e, per li rami, dei contesti locali. Non bastano gli schermi digitali a facilitare la connessione virtuosa fra le persone. Connettersi può andar bene per fare riunioni di staff, non certo per surrogare il buon funzionamento delle assemblee istituzionali o addirittura cittadine. Non mi dilungo poi sulla drammatica condizione della scuola, che è diventato un vero rompicapo. Se si fa in presenza può facilitare la ripresa dei contagi, se si fa a distanza mortifica la didattica vera e propria.
Spiace che nel palese conflitto fra Stato e Regioni l’ultima parola su questo tema la debbano avere i Tar, dopo che la prima l’hanno avuta i virologi”.
Cos’è che ti preoccupa di più di questa situazione?
“Il dato economico è pauroso, e la sensazione è che si proceda a fari spenti con una crescente componente della società italiana avviata sulla strada della rassegnazione. Prima o poi il credito europeo sullo scostamento di bilancio si esaurirà e allora verranno i nodi al pettine in mancanza di un serio piano di rilancio, al di là dello scontro politico in atto sul ricovery plan. La speranza è che a farne le spese non siano territori come il nostro, che da alcuni anni puntano sulla cosiddetta economia di transizione per uscire da una crisi strutturale”.
Spiegati meglio.
“Per lavoro, durante l’estenuante ciclo dei ristori e dei bonus, ho conosciuto un sacco di giovani che si stanno reinventando un futuro da tatuatori, da enogastronomi, da accompagnatori turistici, da barbieri e parrucchieri di qualità, da ristoratori di tendenza. Ma non vorrei dimenticare gli artisti, attori e musicisti in particolare. I loro padri e i loro nonni lavoravano in Porto, negli stabilimenti siderurgici e meccanici, nella memorabile attività cantieristica e corrispondevano a un padrone per lo più pubblico.
Oggi le nuove categorie per fatturare e sopravvivere devono nutrirsi di socialità, cultura, una intelligente propensione al consumo. Questo è il vero datore di lavoro del futuro. Le chiusure rischiano di azzerare questa dimensione, che è fondamentale per sprovincializzare il territorio e proiettarlo in una prospettiva che non sia solo la comfort zone di un logoro campanilismo. Mi auguro che chi di dovere calibri i propri interventi su questo obiettivo e non riproponga il solito tango mediatico su finanziamenti ed opere di lunghissimo periodo. Non se ne può più.
Ho riscontrato peraltro grandissima compostezza nelle giovani partite Iva che rivendicano il proprio indennizzo, e altrettanta dignità nei quadri e nei professionisti che magari ti sussurrano la richiesta di informazioni sul reddito di cittadinanza o di emergenza. Ma in generale non mi pare che ci sia contezza di questa situazione, là fuori prevalgono paure e istanze auto conservative sulle quali ha buon gioco la dinamica autoritativa dei Dpcm”.
Cosa te lo fa pensare
“Certamente il silenzio che ha circondato questa crisi economica e, contestualmente, la narrazione istituzionale di una pandemia che ha generato da un lato la formidabile concentrazione di poteri nel sinedrio politico-sanitario che conosciamo e dall’altro la rappresentazione di una dimensione necessaria nella quale l’accumulo delle norme diventa funzionale al controllo minuto, quasi psicologico delle persone.
In sostanza prevale il vecchio gioco del bastone e della carota, dove la premialità consiste nelle sfumature nel giallo e nel rosso sulle quali settimanalmente si scatena la grancassa dei media, pronti a dirci cosa si può fare o cosa invece sarebbe severamente punito.
Dopo un anno di chiusure la trovo una cosa umiliante. Come ho trovato insostenibile sulla stampa cartacea la galleria fotografica di quegli operatori sanitari e di quegli anziani a cui veniva pubblicamente iniettata la prima dose del vaccino Pfizer. Per dimostrare che cosa, mi domando. Ora che Pfizer sta facendo cucù all’Europa e ad Arcuri, forse sarebbe il caso di verificare se ci sono dosi a sufficienza per completare la prima somministrazione nei confronti dei malcapitati over 80. Magari ce lo potrebbe dire il Presidente Giani, autore di una memorabile passerella istituzionale con tanto di codazzo mediatico negli Ospedali toscani nel giorno del Vaccino Day”.
Eppure pare che queste misure stiano funzionando, la Toscana è gialla per la terza settimana di seguito.
“E’ un giallo opaco, rafforzato come noto dalle chiusure pomeridiane alle ore 18,00 di bar e ristoranti e dal coprifuoco serale. Per non parlare di palestre, piscine, cinema e teatri ancora drammaticamente chiusi alla socialità. In una città come la nostra che solo alcuni anni fa voleva assomigliare a Valencia, significa vivere a metà. I bar di oggi non sono più quelli di quando ero ragazzo. Con il bancone frontale e al massimo la sala da biliardo nel retro che comunque mi affascinava moltissimo. Oggi sostituiscono i luoghi di aggregazione, spesso producono musica e caffè letterari, assolvono a una funzione sociale. Non vanno evocati solo per gli assembramenti molesti, che comunque vanno sanzionati. Per quanto riguarda la Toscana, secondo Giani sarebbe stata raggiunta l’immunità di gregge in regione. Io più banalmente ho letto un tendenziale crollo dei tamponi molecolari soprattutto nella Asl Centro, quella pratese e fiorentina. Un dato successivo al lungo lock down di novembre e poi natalizio, cui la popolazione si è sottoposta con ascetica disciplina, che ha obiettivamente favorito un raffreddamento costante della contabilità dei contagi. Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane”.
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