Il Reddito di Cittadinanza Locale, sperimentato dal Comune di Livorno per la prima volta in Italia, è stato nei mesi scorsi al centro di un’indagine del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, curata dal Prof.Marco Burgalassi e dalla dott.ssa Lucia Mazzuca. Gli autori della ricerca avviata all’inizio di quest’anno hanno condiviso in questi giorni i risultati del loro lavoro con l’Amministrazione comunale.
Si è trattato dell’analisi di un questionario, somministrato a 30 nuclei fammiliari, estratti casualmente dall’universo dei 100 beneficiari, che nel 2016 hanno percepito il Reddito, che mirava a valutare gli effetti percepiti della misura dai beneficiari stessi.
“Siamo grati ai ricercatori di Roma Tre per l’’interesse che ci hanno dimostrato – dichiara l’assessore al Sociale Ina Dhimgjini –. I risultati che ora analizzeremo con tutta la dovuta attenzione ci permetteranno di calibrare al meglio questa misura sociale anche se in un quadro normativo che è notevolmente cambiato, ora che anche il governo ha varato il Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA). In ogni modo alcuni dei risultati emersi, come l’estensione ai nuclei unifamiliari o con due persone, o la progressività del contributo, non erogato più in misura fissa, sono degli aggiustamenti che abbiamo già apportato nel secondo anno di utilizzo del Reddito. Sono molto soddisfatta infine che i beneficiari per primi abbiano maturato la consapevolezza che non si è mai trattato di una misura meramente assistenzialista. E loro per primi chiedono che vengano valorizzate e impiegate le loro capacità lavorative, mirando a un definitivo inserimento lavorativo. Ringrazio quindi moltissimo Roma Tre per questa loro preziosa collaborazione. Del resto se anche a livello nazionale è stato deciso di adottare una misura certamente “figlia” del nostro Reddito di cittadinanza, credo che questo significhi che la strada intrapresa e gli obbiettivi che ci eravamo prefissi stanno andando nella direzione giusta.”
In sintesi i risultati emersi dalla ricerca possono essere raggruppati in 7 punti tematici:
1. Le attività di utilità collettiva, svolte nei parchi cittadini dalla quasi totalità del campione sono state valutate con soddisfazione. Nella maggior parte dei casi, c’era la volontà di rendersi utile “in cambio” della ricezione del contributo. Questo ha fatto sì che il Reddito sia stato percepito come un qualcosa di diverso da un mero contributo economico o da un sussidio indennitario collegato al proprio stato di disoccupazione. Anche se la mancata obbligatorietà della partecipazione a queste attività, ha in parte inficiato il carattere condizionale della misura.
2. Nonostante il Reddito sia stato definito come misura volta a fronteggiare situazioni di disagio economico temporaneo, dall’indagine è emerso che ha invece rappresentato una forma di sostegno anche per nuclei familiari che devono plausibilmente far fronte a condizioni di povertà più prolungate. Infatti 25 beneficiari su 30 risultavano disoccupati al momento dell’intervista e lo erano da almeno 12 mesi al momento della partecipazione al bando nel 2016. Inoltre l’80% degli intervistati ha dichiarato di aver impiegato il contributo per acquistare generi alimentari, quindi per soddisfare un bisogno primario di sussistenza.
3. La composizione dei 100 nuclei beneficiari del Reddito era rappresentata nella totalità da famiglie con più di due componenti, sebbene i requisiti di accesso alla misura non prevedessero limitazioni in ordine alla numerosità del nucleo. La priorità accordata alle famiglie più numerose ha di fatto reso il Reddito un intervento non accessibile ai nuclei unipersonali e a quelli con due componenti (in cui sono ricompresi i casi di genitore solo con minore a carico), nuclei questi per i quali si è registrato un significativo aumento del rischio di impoverimento negli ultimi anni (fonte Istat).
4. L’indagine ha evidenziato due destinazioni principali verso cui è stato indirizzato il Reddito: oltre all’acquisto di generi alimentari, più della metà degli intervistati ha dichiarato di avere utilizzato il contributo per il pagamento delle utenze domestiche. Alla fruizione della misura è associato un miglioramento della condizione economica percepita, che secondo i due terzi degli intervistati risulta leggermente o significativamente migliorata nel semestre di erogazione. Questi effetti positivi sono percepiti in primis per il soddisfacimento dei bisogni primari. Ma questa percezione è risultata meno evidente nelle famiglie più ampie e con almeno un minore, rispetto a quelle con un minor numero di componenti, poiché si tratta di un contributo a cifra fissa, non calibrato sulla dimensione del nucleo.
5. L’ammontare del Reddito, oltre a non tener conto dell’ampiezza del nucleo, prescinde anche dal costo dell’abitazione, ovvero uno dei problemi principali per chi si trova in condizioni di povertà. Nella quasi totalità dei casi in cui non è presente uno specifico contributo pubblico per il pagamento del canone di locazione o una casa popolare, il Reddito è stato, infatti, utilizzato per il pagamento dei ratei dell’affitto, spesso accumulatisi nel tempo.
6. Non aver specificamente previsto attività volte all’inserimento lavorativo dei beneficiari, è stata percepita dai destinatari del Reddito come una carenza. Se, da un lato, un terzo dei beneficiari intervistati ha comunque ritenuto rilevante l’intervento ai fini dell’accrescimento delle opportunità di trovare un impiego, dall’altro la quasi totalità del campione (28 unità su 30) ritiene prioritario incorporare nella misura dei progetti finalizzati all’inserimento o reinserimento lavorativo, formulati sulla base delle capacità e delle attitudini dei singoli richiedenti.
7. Infine, le considerazioni sul legame tra Reddito e Servizio Sociale Territoriale. La quota significativa di nuclei beneficiari in cui è presente almeno un componente portatore di handicap (11 su 30), e l’elevato numero di percettori che erano già conosciuti e presi in carico dai servizi sociali prima della partecipazione al bando (20 su 30), rivelano la presenza di bisogni diversificati delle famiglie, che non discendono del tutto dal loro stato di indigenza. L’indagine sembrerebbe, quindi, mettere in luce l’opportunità di un ruolo più incisivo del servizio sociale, sia come veicolo di informazione sull’esistenza della misura e sui requisiti di accesso, sia soprattutto come soggetto deputato a elaborare percorsi personalizzati finalizzati al reinserimento sociale e lavorativo dei beneficiari. Il 20% del campione, inoltre, ritiene prioritario affiancare all’erogazione del Reddito anche alcuni interventi di assistenza non economici, come il supporto nella cura di figli minori, di familiari disabili e alla fornitura di beni essenziali.
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