Gli ingredienti c’erano tutti, sabato sera al Teatro Goldoni. Una serata di pioggia battente, e un teatro quasi esaurito per uno spettacolo di grande impatto: sembrava davvero di essere tornati alla Belle Epòque, con la sfilata davanti all’ingresso delle signore impellicciate e degli uomini in giacca e con gli ombrelli aperti, per assistere alla rappresentazione del capolavoro di Franz Lehàr.
Si apre il sipario e la scenografia è da mozzare il fiato. Un’enorme scala bianca, leggera ed essenziale, in stile liberty, crea la magia di una location irreale, solo per alcuni dettagli collocabile all’inizio del ‘900. Quasi un ricamo delicato sul quale si svolgerà tutto lo spettacolo, un sapiente deus ex machina che rinnoverà ad ogni scena l’illusione del cambio dell’ambiente ruotando su se stesso, e fungendo da quinta semplicemente con una porta dalla quale, volta per volta, usciranno ed entreranno protagonisti, comprimari e ballerini.
Sì, non c’è che dire. E’ lo scalone il vero protagonista di questo allestimento scenico. L’elegante torchon, opera di Giuliano Spinelli, è davvero riuscito, un’idea geniale per evocare al contempo il periodo storico e la leggerezza musicale dell’altro grande protagonista di quest’operetta, il valzer. Ecco quindi spiegata la scelta scenografica: un applauso non solo a Spinelli, ma anche al regista che ha saputo realizzare uno spettacolo di nitida eleganza anche grazie ad effetti luce semplicemente perfetti.
E sul tema dell’eleganza e dell’essenzialità nitida e pulita che hanno caratterizzato questa “Vedova”, un plauso meritatissimo da parte mia all’autrice dei costumi, Irene Monti, che ha colto la frivolezza e l’anticonformismo dell’epoca mantenendo però sempre sobrietà e gusto encomiabili.
Per quanto riguarda gli artisti, quello che si è notato è stata la freschezza di tutto l’allestimento, certamente dovuto anche alla giovane compagnia, composta quasi interamente da ragazzi e ragazze tra i venticinque e i trent’anni. Degna di nota l’interpretazione di Valencienne proposta da Alessandra Della Croce ed uno strepitoso Giuseppe Raimondo nei panni di Danilo Danilowitsch.
Insomma, un salto indietro nel tempo, ma con un gusto moderno ed essenziale che ha fatto di questa rappresentazione un bellissimo momento di raffinata evasione senza mai cadere nel nostalgico e nel dejà vu. Se proprio dev’essere fatto un piccolo appunto, forse si può non essere d’accordo sulla scelta dei suoni, che hanno impedito un ascolto pulito del cantato e spesso anche del recitativo, e la scelta della compagnia di non concedere bis; ma tutto sommato un bel sabato sera, sicuramente da ricordare, per tutti gli amanti del genere.
Anna Maria Andreini
Lascia un commento