Il vescovo di Livorno Simone Giusti parla spesso di occupazione e di lavoro. In questo periodo di crisi in cui molte aziende livornesi si trovano in difficoltà, viene chiesto al vescovo perché la maggior parte degli appalti della diocesi sono affidati a ditte pisane.
Il vescovo incassa la critica e replica spiegando che gli appalti della diocesi sono curati dall’ufficio diretto da Valentina Cappedè, la quale chiede sempre più preventivi. All’apertura delle buste viene redatto un verbale e quindi la scelta ricade sull’offerta più vantaggiosa. Da buon architetto mons. Giusti è in grado di applicare regole ben precise ai capitolati e valutare con competenza le proposte, dai preventivi non sono accettate modifiche in corso per cui le aziende non possono per nessun motivo variare i costi.
Quindi, gli viene chiesto perché le ditte livornesi non sono competitive rispetto alle pisane, e puntuale arriva la risposta di mons. Giusti, che spiega come alcune ditte (pisane) che da anni lavorano con la diocesi si dimostrano competenti nel leggere gli appalti, partendo dal concetto che la curia è un cliente solvibile, e che non c’è il rischio di impresa, i pagamenti vengono effettuati a breve termine per il 70% dalla Cei e il restante 30% dalla curia, per cui le aziende pur di aggiudicarsi l’appalto praticano prezzi molto competitivi.
Il messaggio che mons. Giusti ha voluto lanciare alle aziende labroniche quindi è chiaro: per non farsi sbaragliare la strada in casa loro dai concorrenti pisani, le ditte del territorio, si guardino intorno e si rimbocchino le maniche. Le opere da fare non sono poche: ristrutturazioni di appartamenti, restauri di beni artistici e culturali, lavori a parrocchie varie, alcune con priorità assoluta, vedi la Chiesa San Pietro e Paolo.
Lascia un commento